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Il Tribunale di Taranto, sezione civile, con ordinanza resa il 10/10/2019 rigetta il provvedimento di urgenza col quale i ricorrenti avevano richiesto che venisse tutelato il proprio diritto all’abitazione principale, il cui immobile era stato venduto ed aggiudicato in seguito a vendita all’asta nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare, nella quale, tra l’altro, il G.E. aveva emesso ordine di liberazione immediatamente esecutivo. Invero, i ricorrenti, di cui alcuni esecutati mentre altri semplici occupanti sine titulo, evocavano in giudizio sia il custode giudiziario, IVG, che la parte aggiudicataria, invocando la tutela d’urgenza avverso un atto emesso dal Giudice dell’Esecuzione nella procedura esecutiva immobiliare, quale appunto l’ordine di liberazione. Si costituiva l’Avv. Luigi De Gaetano, per l’aggiudicataria, eccependo sia il difetto di legittimazione passiva che l’inammissibilità del ricorso, asserendo che il ricorso d’urgenza ha una valenza residuale e non può essere invocata avverso atti del giudice dell’esecuzione. Il Tribunale, riservatosi all’udienza del 26/9/2019, con provvedimento del 10/10/2019 rigettava il ricorso, proprio perché inammissibile, essendo l’ordine di liberazione un provvedimento del g.e. che può essere impugnato con le forme dell’art. 617 c.p.c., così come eventuali profili di doglianza riguardanti l’an dell’esecuzione forzata (id est l’eventuale assenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata) devono essere fatti valere con lo strumento dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. nei tempi e modi previsti. Il medesimo giudice ordinario afferma che: “nemmeno può sostenersi, come fa la parte ricorrente, che occorre assicurare la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti alla salute ed all’abitazione, in quanto il procedimento di espropriazione forzata rappresenta la forma normativamente prevista per assicurare il soddisfacimento del diritto del creditore insoddisfatto e non sussiste alcuna interferenza giuridicamente rilevante fra il suo espletamento e la tutela del diritto alla salute, nel senso che non è possibile ravvisare alcun nesso giuridicamente rilevante fra l’esecuzione forzata e la tutela del diritto alla salute di un soggetto che necessiti di cure, le quali vengono assicurate nelle forme previste dalla disposizioni relative al Servizio Sanitario Nazionale; così come nessuna lesione è possibile ravvisare di per sè nella vendita forzata, in ragione del fatto, che, come innanzi evidenziato, detta vendita rappresenta il modo tipico previsto dal legislatore per soddisfare il diritto del creditore, in caso di mancato spontaneo adempimento del debitore; diversamente ragionando, infatti, dovrebbe giungersi alla conclusione dell’impossibilità generale di procedere esecutivamente sull’abitazione del debitore o su un bene in qualunque modo adibito ad abitazione di chicchesia ovvero su un bene nel quale risieda un soggetto sofferente (anche nel caso in cui la sua condizione psico-fisica non sia tale da non consentirne nemmeno lo spostamento); appare, pertanto, evidente che, tenuto conto della prospettazione di parte opponente, non può in questa sede interferirsi sull’attuazione di un procedimento tipico, normativamente previsto, qual è l’esecuzione forzata, se non se ne prospetti l’illegittimità nell’an o nel quomodo, attraverso, si ribadisce, la proposizione delle rituali opposizioni ex artt. 615 e 617 cpc.” Prosegue il medesimo giudicante, affermando che: “quando il legislatore ha inteso posporre il diritto del creditore a vedere soddisfatto il proprio credito rispetto al diritto di abitazione del debitore lo ha fatto espressamente (cfr. art. 76 DPR 602/1973)“. Infine, il giudice ha condannato i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di lite in favore dell’aggiudicataria.